
Effetti Pronuncia Illegittimità Costituzionale “Piano Casa Regione Calabria”
Con la sentenza n. 219/2021 del 23.11.2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, 3, commi 1 e 3, e 4, commi 1 e 2, lettera b), della legge della Regione Calabria 2 luglio 2020, n. 10, recante “Modifiche e integrazioni al Piano Casa (legge regionale 11 agosto 2010, n. 21)”.
Una sentenza che rischia di paralizzare l’intero settore dell’edilizia e di bloccare centinaia di pratiche all’interno degli Uffici della P.A..
Le Questioni di Legittimità Costituzionale
Il Presidente del Consiglio dei Ministri promuoveva questioni di legittimità costituzionale, in via principale, degli artt. 2, 3, commi 1 e 3, e 4, commi 1 e 2, lettera b), della legge della Regione Calabria 2 luglio 2020, n. 10, recante «Modifiche e integrazioni al Piano Casa (legge regionale 11 agosto 2010, n. 21)», in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni.
Premetteva che la Regione Calabria e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MIBACT) avviavano, fin dal 2012, un rapporto di collaborazione istituzionale in vista della elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, in attuazione degli artt. 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del Paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
Tale rapporto di collaborazione portava all’adozione del Quadro Territoriale Regionale a Valenza Paesaggistica (QTRP), approvato dal Consiglio Regionale con deliberazione del 1° agosto 2016, n. 134.
In esso venivano poste le basi per la redazione del piano paesaggistico, costituito da sedici piani d’ambito, in vista della tutela, conservazione e valorizzazione del paesaggio.
Nelle more dell’approvazione del piano, venivano concordate norme di salvaguardia attinenti al sistema delle tutele, alla difesa del suolo e alla prevenzione dei rischi.
Indi, nonostante l’avvio dell’indicato itinerario di collaborazione con il MIBACT, la Regione approvava, in autonomia, la citata legge regionale n. 10 del 2020, contenente disposizioni – fra cui quelle impugnate – che modificavano, unilateralmente, la disciplina dell’esecuzione di interventi straordinari, in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, già introdotti dalla legge della Regione Calabria 11 agosto 2010, n. 21 (Misure straordinarie a sostegno dell’attività edilizia finalizzata al miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale), inerente al cd. Piano Casa.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri impugnava, così, l’art. 2 della citata l. r. Calabria n. 10 del 2020, nella parte in cui, modificando l’art. 4 della legge reg. Calabria n. 21 del 2010, innalzava i limiti di superficie lorda delle unità abitative entro cui sono consentiti interventi edilizi straordinari di ampliamento volumetrico, di variazione di destinazione d’uso e di variazione del numero delle unità immobiliari, in deroga agli strumenti urbanistici.
In specie, con riguardo alle unità abitative residenziali, veniva previsto che i citati interventi potessero essere effettuati sul 20 per cento della superficie lorda per unità immobiliare già esistente, fino ad un massimo di 75 mq di superficie interna netta per ogni unità residenziale (art. 4, comma 1, lettera a, primo periodo, della legge reg. Calabria n. 21 del 2010), anche «nel caso di un’unica unità immobiliare qualora superi i 1000 metri cubi a patto che si effettuino contestualmente sull’intero fabbricato lavorazioni atte ad innalzare il livello di efficienza termica o strutturale (sismica) di almeno una classe» (art. 4, comma 1, lettera a, secondo periodo, della citata legge regionale).
Con riferimento alle unità abitative non residenziali, i medesimi interventi venivano consentiti «entro il limite del 20 per cento della superficie lorda, per unità immobiliare […] fino ad un massimo di 200 metri quadrati di superficie interna netta per unità immobiliare», ma «sono aumentati al 30 per cento, per un incremento massimo di 700 metri quadrati interni netti, in caso di destinazioni d’uso produttive, direzionali, commerciali ed artigianali» (art. 4, comma 1, lettera b, della legge reg. Calabria n. 21 del 2010).
Secondo il ricorrente le richiamate previsioni, che determinano la trasformazione del territorio attraverso gli interventi edilizi sopra elencati, venivano adottate dalla Regione in via del tutto autonoma e avulsa dal quadro di riferimento costituito dalle previsioni del piano paesaggistico.
Quest’ultimo – che deve essere elaborato secondo il modulo della pianificazione concertata e condivisa, prescritto dalle norme statali (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali) – costituirebbe il solo strumento idoneo a garantire l’ordinato sviluppo urbanistico e a individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del citato codice.
Le disposizioni regionali impugnate, nel consentire interventi di trasformazione del territorio al di fuori del contesto pianificatorio condiviso con lo Stato, sarebbero lesive della competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e del principio di leale collaborazione, oltre che in contrasto con l’impegno assunto nel 2012 dalla Regione con il MIBACT.
Veniva sottolineato, infatti, che, sebbene con la legge reg. Calabria n. 21 del 2010 la Regione avesse dettato norme proprie introducendo il cosiddetto Piano casa, solo a partire dal 2012, la medesima, avviando un rapporto di collaborazione istituzionale con il MIBACT finalizzato all’elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, si impegnava a condividere con lo Stato anche l’individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, di tutti gli interventi di trasformazione del territorio, in vista dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile delle aree interessate.
Impegno che sarebbe stato violato con l’adozione delle norme impugnate.
Analoghe censure venivano rivolte all’art. 3, commi 1 e 3, della stessa legge reg. Calabria n. 10 del 2020, là dove modifica la disciplina dettata dall’art. 5 della precedente legge reg. Calabria n. 21 del 2010, consentendo interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, «anche con riposizionamento dell’edificio all’interno delle aree di pertinenza catastale dell’unità immobiliare interessata», con ampliamenti di volumetria più elevati di quelli precedentemente previsti («con realizzazione di un aumento in volumetria entro un limite del 30 per cento su immobili esistenti»: comma 1), nonché deroghe all’altezza massima della nuova edificazione («[l]’altezza massima della nuova edificazione può essere derogata fino all’utilizzo della volumetria realizzabile»: comma 3).
Anche tali previsioni venivano impugnate in quanto con esse la Regione avrebbe illegittimamente disciplinato, in via del tutto autonoma, interventi di modifica fisica in aumento e in elevazione di edifici nella fase della loro ricostruzione dopo la demolizione, nonché del loro riposizionamento, in deroga agli strumenti di pianificazione comunale vigenti e, soprattutto, al di fuori di ogni criterio di pianificazione paesaggistica da concordare necessariamente ed inderogabilmente con lo Stato.
In tal modo il legislatore regionale avrebbe violato la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e il principio di leale collaborazione, dando vita a un intervento regionale autonomo al posto della pianificazione concertata e condivisa, prescindendo da questa e superandola, peraltro smentendo l’impegno assunto nei confronti dello Stato di proseguire un percorso di collaborazione.
Sarebbe, infine, vanificato il potere dello Stato nella tutela dell’ambiente, rispetto al quale il paesaggio assume valore primario e assoluto, in linea con l’art. 9 Cost..
Veniva, infine, impugnato l’art. 4, commi 1 e 2, lettera b), della citata legge reg. Calabria n. 10 del 2020, là dove proroga di un anno (e cioè fino al 31 dicembre 2021) la possibilità di presentare istanze per l’esecuzione dei citati interventi edilizi straordinari, riferibili anche a immobili esistenti alla data del 31 dicembre 2019.
La proroga in questione – che si aggiunge alle precedenti numerose proroghe già apportate dalle leggi regionali successive alla legge reg. Calabria n. 21 del 2010 sul cosiddetto Piano casa – renderebbe palese l’intento del legislatore regionale di stabilizzare nel lungo periodo la previsione degli interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici, che erano, invece, stati introdotti come straordinari, con la conseguenza di accrescerne enormemente il numero e di renderne «costante l’estraneità […] rispetto all’alveo naturale costituito dal piano paesaggistico».
Ciò starebbe a indicare, ad avviso della difesa statale, che, «pendente il processo di pianificazione paesaggistica condivisa fra Stato e Regione Calabria cui dovrebbero riferirsi tutte le trasformazioni del territorio», la Regione Calabria avrebbe legiferato in violazione di «tutti i precetti costituzionali già lesi dalle precedenti norme della stessa legge sopra censurate: l’art. 9 e l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, nonché il principio di leale collaborazione fra Stato e regioni».
La Pronuncia
Con la Pronuncia in rassegna la Corte Costituzionale ha ritenuto nel merito le questioni fondate in riferimento a tutte le disposizioni impugnate e a tutti i parametri evocati.
Secondo la Corte, infatti, la Regione Calabria, con la sottoscrizione del Protocollo d’intesa con l’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali in data 23 dicembre 2009, ha avviato un rapporto di collaborazione in vista della elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, in linea con l’art. 143 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
Da tale collaborazione è scaturita l’adozione del Quadro Territoriale Regionale con Valenza Paesaggistica (QTRP), approvato dal Consiglio regionale con deliberazione 1° agosto 2016, in attuazione degli artt. 17 e 25 della legge della Regione Calabria 16 aprile 2002, n. 19 (Norme per la tutela, governo ed uso del territorio – Legge Urbanistica della Calabria).
In questo documento, frutto di elaborazione congiunta, si definisce il quadro condiviso «di riferimento e di indirizzo per lo sviluppo sostenibile dell’intero territorio regionale» (art. 1, comma 2), di tutti gli interventi di trasformazione del territorio da realizzare, anche nelle more dell’approvazione del piano paesaggistico regionale, si specificano i compiti del Comitato tecnico di copianificazione, istituito in attuazione del citato Protocollo, si impone una valutazione congiunta di coerenza degli strumenti di pianificazione locale con il quadro stesso da parte della Regione e dei competenti organi del MIBACT (art. 30, comma 7).
È, pertanto, evidente, continua la Corte, che l’introduzione delle disposizioni regionali impugnate, che, come si è detto, consentono interventi edilizi straordinari, in deroga agli strumenti urbanistici, ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla citata legge reg. Calabria n. 21 del 2010 e ne prorogano di un anno la realizzabilità, in riferimento anche a immobili edificati più recentemente, senza seguire le modalità procedurali collaborative concordate e senza attendere l’approvazione congiunta del piano paesaggistico regionale, vìola l’impegno assunto dalla Regione in ordine alla condivisione del «governo delle trasformazioni del proprio territorio e congiuntamente del paesaggio» (art. 1, comma 1, del QTRP) e, quindi, il principio di leale collaborazione cui si informano le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio e determina una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
Ciò comporta un’ulteriore conseguenza, con riguardo al potere di pianificazione urbanistica, cioè che esso “non è funzionale solo all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio […], ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti”. (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 9 maggio 2018, n. 2780) (sentenza n. 202 del 2021)
Nel consentire i richiamati interventi edilizi in deroga alla pianificazione urbanistica per un tempo indefinito, per effetto delle reiterate proroghe (il termine originariamente previsto per la presentazione delle istanze per eseguire gli interventi in questione, individuato nel 31 dicembre 2014, era stato poi prorogato al 31 dicembre 2016, poi ancora al 31 dicembre 2018, successivamente al 31 dicembre 2020, al 31 dicembre 2021 e ora al 31 dicembre 2022), le citate previsioni finiscono per danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale, in violazione dell’art. 9 Cost..
Tale lesione è resa più evidente dalla circostanza che, in questo lungo lasso di tempo, non si è ancora proceduto all’approvazione del piano paesaggistico regionale.
Da simile argomentare ne è derivata la pronuncia di illegittimità costituzionale degli artt. 2, 3, commi 1 e 3, e 4, commi 1 e 2, lettera b), della legge della Regione Calabria 2 luglio 2020, n. 10, recante «Modifiche e integrazioni al Piano Casa (legge regionale 11 agosto 2010, n. 21)».
Effetti sui rapporti costituitisi in base alle norme dichiarate successivamente incostituzionali
E’ principio pacifico in Giurisprudenza che "La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l'abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l'annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa, dando luogo ad un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l'abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l'annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc.”
Pertanto, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado di contrasto tra quest'ultimo e la norma di legge, ovvero, infine dalla natura del rapporto sorto nel vigore statuisce soltanto per il futuro e non per il passato facendo quindi salvi i diritti acquisiti.
Dello stesso avviso sono numerosissime altre sentenze sia della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato nonché della Corte Costituzionale, laddove si afferma che “mentre l'efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, in ipotesi di successione di legge - dal momento che la norma anteriore è pienamente valida ed efficace fino al momento in cui non è sostituita - la nuova legge non può che regolare i rapporti futuri e non anche quelli pregressi, per i quali vale il principio che la disciplina applicabile è quella vigente al momento in cui si è realizzata la situazione della norma successivamente dichiarata incostituzionale. Fuori delle ipotesi, aventi carattere di eccezionalità, in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima, la dichiarazione di incostituzionalità (avuto riguardo al precetto costituzionale violato, alla disciplina dettata dalla norma riconosciuta costituzionalmente illegittima e alla natura del rapporto disciplinato da quest'ultima) comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti”. (Cass. Civile, sez. III, 11-04-1975, n. 1384)
Il riferimento è a quei rapporti esauriti ai quali non si estende l’efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale.
E' notorio, infatti, che “L'efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa dell'illegittimità costituzionale di norma di legge non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale.”. (Trib. Roma 14 febbraio 1995; e anche cfr. Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n. 7057; Con. giust. amm. Sicilia 24 settembre 1993, n. 319).
Il concetto di rapporto esaurito è riferito alle situazioni giuridiche che possono dirsi oramai esaurite, consolidate ed intangibili, allorché i rapporti tra le parti siano stati già definiti anteriormente alla pronuncia di illegittimità costituzionale per effetto, sia di giudicato, sia di atti amministrativi non più impugnabili, sia di atti negoziali rilevanti sul piano sostanziale o processuale, nonostante l’inefficacia della norma dichiarata incostituzionale.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, “se la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha effetto retroattivo, nel senso che la dichiarazione illegittima non può essere applicata né come norma per la disciplina dei rapporti esauriti, tuttavia, la circostanza che quella disposizione abbia di fatto operato nell’ordinamento giuridico comporta che essa ha prodotto effetti irreversibili, perché essi hanno inciso su rapporti esauriti a causa della mancanza o della inutilizzabilità di strumenti idonei a rimetterli in discussione ovvero a causa della impossibilità giuridica o logica di valutare diversamente, a posteriori, comportamenti che devono essere esaminati alla stregua della situazione normativa esistente al momento in cui si verificano.”. (cfr. Cass. civ., 1.12.1984 n. 6626).
In altre parole, una legge sebbene dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi "di legalità".
La stessa legge dovrà essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento.
Avv. Pasquale Saffioti
Nella Foto: Villa Comunale "G. Mazzini" - Palmi (R.C.)
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